Roma, 08 Dicembre 2020
Nella sua ordinanza di ieri, la n. 27963/2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul rapporto, in termini sanzionatori, tra le due fattispecie di infedele dichiarazione e di omesso versamento, cristallizzandone un importante principio.
In particolare, nell’affrontare un contenzioso in materia IVA (ma i principi della sentenza sono applicabili per default anche in ambito IRES/IRAP), qualora il Contribuente ometta di presentare la dichiarazione annuale dei redditi, ovvero la trasmetta all’A.d.E. indicando un imponibile o un’imposta inferiore a quella “reale”, realizza una violazione disciplinata dall’art. 1 (per le imposte dirette ed IRAP) e dall’art. 5 (per l’IVA) del DLgs. 471/97, punita con una sanzione in misura proporzionale (salvo aggravanti, dal 90% al 180%) all’imposta che sarebbe stata dovuta, qualora la dichiarazione fosse stata presentata, a giudizio dell’A.d.E., correttamente sulla base dei rilievi mossi nell’avviso di accertamento.
Qualora, invece, il Contribuente non versi quanto ha indicato nella dichiarazione dei redditi trasmessa, si realizza una violazione differente, sanzionata nella misura del 30% dell’imposta non versata, con la riduzione al 15% se il tardivo versamento rientra nei 90 giorni successivi all’originaria scadenza, ulteriormente ridotta, se non supera i 14 giorni, allo 0,066% per ogni giorno di ritardo.
Ciò premesso, nella sua sentenza del 7 dicembre la Cassazione sancisce, per la prima, che se il Contribuente dichiara un imponibile (ai fini IVA e/o dei redditi) inferiore a quello effettivo, è irrogabile la sola sanzione da infedele dichiarazione, che, in quanto di entità superiore perché più grave, assorbe quella da omesso versamento delle maggiori imposte.
Nella sentenza in esame viene statuito (punto 4.4) che l’infedeltà dichiarativa “………. copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione”.
Nella fattispecie oggetto dell’ordinanza della Cassazione la società “XY s.a.s.”, dopo aver ricevuto un accertamento con irrogazione della sanzione da dichiarazione infedele ed aver attivato il contenzioso contro l’A.d.E. giunto sino in Commissione Tributaria Regionale, si è vista contestare dall’Amministrazione finanziaria, oltre alle sanzioni da dichiarazione infedele anche le sanzioni da omesso versamento delle imposte che la Società avrebbe dovuto versare, qualora la dichiarazione fosse stata presentata correttamente.
A tal ultimo riguardo, la Suprema Corte precisa e sancisce che la fattispecie sanzionatoria relativa all’omesso versamento si configura solo se non si versano le imposte dichiarate, fatto che, generalmente, dà luogo non alla procedura di “accertamento” in senso tecnico ma alla liquidazione automatica della dichiarazione e alla successiva iscrizione a ruolo e notifica della cartella di pagamento.
Per concludere, i giudici di Piazza Cavour hanno cristallizzato il principio che le due violazioni anzidette devono rimanere autonome.
La linea tracciata dalla Cassazione dovrebbe essere applicabile anche ad altra fattispecie, spesso attenzionata dall’A.d.E., in relazione alla cumulabilità, o meno, della sanzione da omessa/infedele fatturazione con la sanzione da omesso versamento dell’imposta relativa. Infatti, anche in questo caso siamo in presenza di una violazione più grave “a monte” (la fatturazione), seguita da una condotta meno grave “a valle” (il versamento), il che non fa che rendere mutuabile il principio della sentenza n. 27963 del 7/12/2020 anche a questa fattispecie sanzionatoria.