Abuso del diritto ex art. 10-bis della L. 212/2000: la sentenza n. 25131 del 16/09/2021 della Cassazione la vede in modo diverso dall’A.d.E., nell’ambito di una fattispecie particolare di cessione “circolare” di partecipazioni rivalutate.

Roma, 17 Settembre 2021

Quanto mai tempestiva, anche in vista della proroga (normata dal DL Sostegni-bis convertito in legge) al 15/11/2021 della scadenza che consente di optare per la rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni non quotate possedute dai soggetti non imprenditori al 1° gennaio 2021, è la sentenza n. 25131/2021 di ieri della Cassazione.

In estrema sintesi, secondo i Superiori giudici non è abusiva – ex art. 10-bis della L. 212/2000 – la cessione di partecipazioni rivalutate a società controllate dai “cedenti persone fisiche”, con la finalità principe di liquidare (anche solo in parte viene da aggiungere) le quote dei soci non interessati alle sorti del gruppo, costituendo quest’ultima un’apprezzabile ragione extrafiscale.

A giudizio della Cassazione non è, quindi, qualificabile come elusiva la cessione da parte di persone fisiche di una partecipazione di cui è stato precedentemente rivalutato il costo fiscale (ai sensi dell’art. 5 della L. n. 448/2001, più e più volte prorogato o richiamato da successive disposizioni aventi medesimo oggetto e finalità), quando la società cessionaria risulta partecipata dagli stessi Soci cedenti.

Nella causa oggetto della sentenza n. 25131/2021, secondo l’impostazione adottata dall’A.d.E. la cessione delle partecipazioni precedentemente rivalutate dai soci (beneficiando quindi del significativo risparmio fiscale sulla tassazione del plusvalore rispetto al “costo storico” della partecipazione ceduta) non realizza un effettivo disinvestimento, perché le persone fisiche continuano a possedere la partecipazione ceduta per il tramite della società cessionaria; per tale motivo si sarebbe in presenza di una c.d. “operazione circolare” (ossia, la cessione indiretta a sé stessi) e quindi uno schema “abusivo” ex art. 10-bis della L. 212/2000.

In particolare, sono circolari “quelle operazioni in cui gli atti posti in essere non determinano una modificazione significativa dell’assetto giuridico economico preesistente del contribuente”.

In questi casi, l’A.d.E. ritiene che il vero obiettivo dell’operazione posta in essere sia quello di “convertire” il flusso di cassa dalla società acquirente ai suoi Soci (che cedono la partecipazione rivalutata alla loro stessa, in quanto partecipata, società acquirente), da dividendo imponibile in capo ai soci (oggi tassato al 26%) a corrispettivo della cessione, che non determina capital gain per i medesimi Soci in quanto attraverso la rivalutazione sono stati affrancati i plusvalori latenti con il pagamento dell’imposta sostitutiva, che oggi è l’11% (tra l’altro da corrispondere all’Erario in tre annui a partire dal 2021).

Con riferimento alla fattispecie oggetto di causa (tre fratelli che hanno trasferito le loro partecipazioni affrancate a una holding partecipata dagli stessi) l’ordinanza della Cassazione fonda il proprio ragionamento sulla considerazione che il carattere abusivo dell’operazione deve essere escluso quando risulta individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che “non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda”.

Nel caso di specie, si valorizza il fatto che emerge la convenienza, se non la necessità, di rendere agevole l’eventuale liquidazione dei soci non intenzionati, nel tempo, a condividere le vicende aziendali. Riprendendo quanto stabilito dai giudici della C.T.R. che avevano dato ragione ai tre fratelli, si afferma che “in questa situazione, la scelta tra due opzioni, cessione o conferimento, comporta risultati radicalmente diversi: con la cessione, il vantare un credito nei confronti della società consente al socio, in caso di liquidazione, di entrare in possesso di somme liquide senza necessariamente perdere il controllo della proprietà, mentre il conferimento obbliga, in caso di liquidazione del socio, alla cessione della partecipazione con conseguente modifica delle percentuali di proprietà sociale”.

Sono state, quindi, riconosciute le valide ragioni extrafiscali, individuate nell’esigenza di regolamentare, attraverso una più razionale e confacente riorganizzazione dell’assetto societario, la liquidazione delle quote sociali dei Soci che non fossero più interessati alle sorti del gruppo.

Nella parte finale della loro sentenza, i Giudici della Cassazione chiudono il loro ragionamento precisando che “L’esclusione della natura elusiva di operazioni di cessione di partecipazioni rivalutate a società legate da rapporti di commistione con i cedenti, in presenza di apprezzabile sostanza economica e in relazione al fatto che la rivalutazione delle partecipazioni è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative è stata affermata di recente da questa Corte (cfr. Cass. 7359/2020).

Muovendo da queste considerazioni, quindi, la Cassazione considera lecite le operazioni di cessione di partecipazioni rivalutate a società legate da rapporti di commistione con i cedenti.

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