Roma, 20 ottobre 2023
Lo scorso 17 ottobre è stata depositata la sentenza n. 28817 della Cassazione, nella quale i Giudici di legittimità hanno ribadito un principio molto importante, che si riflette su di una materia che spesso alimenta contenziosi e, soprattutto, dubbi negli operatori.
I Giudici hanno statuito il principio che:
- tra i soci di società di capitali estinta e la società non c’è alcuna forma di solidarietà; quindi, l’AdE non può chiedere al socio il debito vantato nei confronti della società;
- si tratta di un debito non azionabile nei confronti del socio; quindi, è irrilevante (elemento in più, nella fattispecie oggetto di causa) che sia stato dichiarato inammissibile il ricorso del socio contro l’accertamento della società a lui notificato.
Nella sentenza n. 28817/2023 si legge in particolare che “…… nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha mai comunicato al socio S., mediante apposito avviso di liquidazione, le ragioni della pretesa vantata nei suoi confronti. L’Amministrazione finanziaria ha emesso la cartella esattoriale a lui notificata a titolo personale perché l’impugnativa del socio avverso l’avviso di accertamento redatto nei confronti della società, non nei suoi confronti, era stato dichiarato inammissibile, ma non ha formato alcuna richiesta di pagamento nei confronti del socio, prima di notificargli l’atto esattivo, e non disponeva di un titolo nei suoi confronti”.
La sentenza di Cassazione offre lo spunto, al di là della fattispecie oggetto di causa, per fare alcune riflessioni sulle azioni – non rare – intraprese dall’A.d.E. nei confronti dei soci delle società estinte, negli anni successivi alla loro cancellazione dal Registro delle Imprese.
In particolare, non si tratta di stabilire quando il socio possa essere ritenuto responsabile dei debiti sociali, ovvero se ai sensi del 2° comma dell’art. 2495 del codice civile (laddove è circoscritta la solidarietà “….. fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione …..”) o se in forza dell’art. 36 del DPR 602/73 che detta il perimetro della “responsabilità ed obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci”.
Men che meno il problema riguarda la legittimazione processuale a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 175/2014, secondo cui per i cinque anni successivi alla richiesta di cancellazione dal Registro delle Imprese la società è considerata ancora “in vita” ai fini della notifica degli atti impositivi.
La questione affrontata dalla Cassazione è, invece, connessa alla condotta che può e/o deve tenere il socio quando, del tutto illegittimamente, riceve la notifica di un atto intestato alla società estinta.
Secondo un primo orientamento l’atto illegittimamente ricevuto dal socio non può essere impugnato dal socio stesso, essendo il ricorso inammissibile per mancanza di legittimazione soggettiva; va da sé che in tal caso l’atto (la cartella di pagamento) non può produrre nessuna forma di riscossione a danno del socio (sulla questione si è già espressa la Cassazione con sentenza n. 22863/2011).
Sulla stessa fattispecie (notifica atto al socio di società estinta), un altro orientamento ritiene che il socio che riceve un atto in virtù di una sua responsabilità “personale” inesistente, può ricorrere (anche se la società è estinta) con il fine di far dichiarare la sua carenza di soggetto passivo d’imposta (Cassazione del 17/12/2013 n. 28187). Non proponendo ricorso si corre il rischio di essere raggiunti dai successivi atti di AdERiscossione, più o meno “afflittivi” che siano. Ecco perché può essere opportuno il ricorso anche nel caso di atti ricevuti dai soci di società estinte.
E quanto anzidetto è proprio il caso affrontato nella sentenza di Cassazione depositata lo scorso 17 ottobre 2023. Il socio risultava aver impugnato tardivamente l’atto originario a lui notificato ma rivolto alla società (estinta) e per questa ragione è stato poi raggiunto dalla cartella di pagamento.
Per concludere, nella sua ordinanza n. 28817/2023 la Cassazione conferma ancora che la pretesa dell’AdE, nei confronti del socio non può essere in ogni caso azionata; quindi poco rileva (come invece rimarcato dall’AdE) che il suo ricorso contro l’atto in capo alla società sia stato dichiarato inammissibile.