Roma, 8 settembre 2023
L’AdE, nella risposta a interpello n. 413 del 3.8.2023, nel fare una panoramica sul perimetro della norma nelle fattispecie di cessione dei beni immobili, conclude nell’evidenziare che non concorrono alla formazione del “pro rata” di detrazione IVA (art. 19 e 19-bis del DPR 633/72) le cessioni di fabbricati qualificati come “beni ammortizzabili” – così qualificati in base ai criteri stabiliti ai fini delle imposte dirette – diversi dagli immobili c.d. “beni-merce” (art. 92 del TUIR) e da quelli c.d. “patrimoniali” (art. 90 del T.U.I.R.).
L’interpello 413/2023 lascia spazio a qualche riflessione sulla nozione di “bene di investimento” di matrice europea, nonché sulla corretta qualificazione degli immobili in relazione all’attività svolta dal soggetto passivo.
Il caso oggetto dell’istanza riguarda un ente pubblico di natura economica, che svolge il ruolo di gestore del patrimonio immobiliare affidato da una Regione, realizzando interventi di recupero, riqualificazione e nuova costruzione, acquisizione di immobili da destinare a edilizia residenziale pubblica e gestione del patrimonio pubblico residenziale.
Nell’ambito di tale attività, l’ente nel corso degli anni 2019, 2020 e 2021, ha perfezionato la cessione di oltre 750 immobili (quasi totalmente abitativi), realizzando un fatturato di oltre 90 milioni di euro, rappresentativo di una “percentuale significativa del volume d’affari”.
L’istante fa presente che i fabbricati posseduti – sia abitativi che strumentali – sono stati allocati in bilancio fra le immobilizzazioni materiali ai sensi del principio contabile OIC 16 e sono stati ammortizzati. Così facendo, in aderenza alla lettera dell’art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72, detti beni sono stati esclusi dalla determinazione del pro-rata di detrazione IVA.
La normativa europea [art. 174 par. 2 lett. a) della direttiva 2006/112/Ce] prevede che nel calcolo non si debba tener conto dell’importo del volume d’affari “relativo alle cessioni di beni d’investimento utilizzati dal soggetto passivo nella sua impresa”.
In ordine alla corretta interpretazione della nozione di “beni di investimento”, è intervenuta la giurisprudenza europea, con la sentenza 6 marzo 2008 relativa alla “causa C-98/07 (Nordania Finans)”. I giudici hanno affermato che “per delimitare la portata di una disposizione di diritto comunitario, bisogna tener conto allo stesso tempo del suo dettato, del suo contesto e delle sue finalità”.
Considerato che l’art. 174 della direttiva 2006/112/Ce non contiene “alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata”, la nozione di “bene di investimento” va soggetta a “… un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi ….” (causa C-98/07, punto 17).
In questo senso, va sottolineato che la nozione di “beni di investimento” non può comprendere quelli “la cui vendita riveste, per il soggetto passivo interessato, il carattere di un’attività economica usuale” (causa C-98/07, punto 25).
L’art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72, che recepisce nell’ordinamento interno il citato art. 174, stabilisce che per il calcolo della percentuale di detrazione “…. non si tiene conto delle cessioni di beni ammortizzabili ….”.
A ben vedere, la normativa e la giurisprudenza dell’Unione fanno riferimento a “beni di investimento”, fornendo, almeno all’apparenza, una nozione che prescinderebbe dalla circostanza che tali beni siano stati o meno ammortizzati.
Per quanto concerne la fattispecie oggetto di interpello, l’AdE, astenendosi dal valutare i criteri (talvolta suscettibili di apprezzabile “soggettività”) adottati per la qualificazione dei beni, ribadisce che ai fini del calcolo del pro-rata ex art. 19-bis del DPR 633/72 sono da escludersi i “beni ammortizzabili”, così come definiti dalla disciplina relativa alle imposte sui redditi.
Quanto cristallizzato nella risposta dell’AdE all’interpello 413/2023 lascia, come detto, spazio ad alcune riflessioni.
Preliminarmente si sottolinea come i “fabbricati abitativi” dovrebbero essere stati qualificati dall’istante dell’interpello – ragionevolmente – come “beni patrimoniali”, e non come “beni fiscalmente ammortizzabili”, ma questo non è dato di sapere nonostante l’AdE abbia dato parere favorevole, nel senso che non troverebbe applicazione il meccanismo del pro-rata.
Occorre, poi, sottolineare come la questione oggetto di analisi nella risposta a interpello n. 165/2020 (richiamata nell’interpello n. 413/2023 a supporto del parere dell’Ufficio) riguardasse una società operante nel trasporto aereo, tenuta all’acquisto e rivendita di velivoli per “garantire il costante aggiornamento degli aeromobili in uso”. Il caso non sembrerebbe, dunque, del tutto aderente a quello in esame che concerne una fattispecie articolata di un “fondo immobiliare”.
In questo senso, desta qualche perplessità, in particolare, la circostanza che l’AdE – anche solo per fornire parametri utili al contribuente – non sia entrata nel merito delle valutazioni operate dall’ente (e chissà se avesse avuto lo stesso approccio se il quesito fosse stato posto da una società privata) in ordine alla corretta qualificazione degli immobili (in particolare di quelli a destinazione abitativa). Pare emergere, infatti, dalla lettura del caso e dello statuto dell’istante, che la cessione di tali beni, lungi dall’essere occasionale, possa costituire attività economica esercitata abitualmente. Assunto tale presupposto di “abitualità”, sarebbe parsa più corretta la classificazione di tali beni fra le rimanenze di magazzino, conformemente al principio contabile OIC 13, secondo cui tale voce comprende “beni destinati alla vendita ….. nella normale attività della società”,con conseguente inclusione nel computo del pro-rata. Va da sé che l’interpello n. 413/2023 in ogni caso rimane agli atti, a supporto e conforto dell’operatività delle società immobiliari.