Roma, 19 febbraio 2019
Come noto, i terreni che rappresentano per la Società proprietaria “immobilizzazioni materiali” devono essere iscritti nell’attivo dello Stato Patrimoniale alla voce B.II.1, “Terreni e Fabbricati”, rilevati in un apposito conto, tra i “terreni”, come previsto anche dal documento O.I.C. n. 16.
Questo principio è specularmente applicabile anche per quei terreni su cui insistono i fabbricati sovrastanti, che devono di riflesso essere contabilizzati separatamente.
La metodologia anzidetta ha effetti, talvolta non trascurabili, in termini di ammortamenti e politiche di bilancio.
In linea generale, l’art. 2426 comma 1 n. 2 c.c. stabilisce che il costo delle immobilizzazioni la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione.
In modo particolare il documento O.I.C. n. 16 precisa:
- il processo di ammortamento è applicabile a tutti i beni in genere, eccezion fatta per quei cespiti la cui utilità non si esaurisce con il passare del tempo, come appunto per i terreni (ma anche le “opere d’arte”);
- i terreni non sono quindi civilisticamente ammortizzabili, eccezion fatta per quei terreni che abbiano un’utilità destinata a esaurirsi nel tempo come nel caso delle cave e dei siti utilizzati per le discariche;
- qualora il valore di un fabbricato incorpori anche quello del terreno sul quale insiste, il valore del terreno va scorporato, anche in base a stime, per determinarne il corretto ammortamento applicabile.
Premesso ciò, in assenza di indicazioni assertive nell’ambito del principio contabile O.I.C. n. 16, non si può non domandarsi se lo scorporo si applichi soltanto con riferimento ai fabbricati “cielo-terra” od anche a singole unità immobiliari, indipendentemente dalla loro destinazione catastale e/o valore, in analogia con quanto previsto dalla normativa tributaria, modificata dal 2006, mossa da evidenti esigenze di gettito di quegli anni (“Governo Prodi”).
In particolare, l’art. 36, c. VII del D.L. n. 223/2006 (come convertito dalla L. n. 248/2006) stabilisce che, ai fini soli del calcolo delle quote di ammortamento deducibili, il costo complessivo dei fabbricati è assunto al netto di quello riferibile alle aree occupate dalla costruzione e alle aree che ne costituiscono pertinenza.
Va da sé che nell’interpretare la norma anzidetta, l’Agenzia delle Entrate nella sua circolare n. 1/2007 ha ritenuto che le disposizioni fiscali che prevedono lo scorporo del valore del terreno “si applicano anche alle singole unità immobiliari presenti all’interno di un fabbricato ossia anche per gli immobili che non possono essere definiti “cielo-terra”, per i quali i principi contabili internazionali non richiedono la separata indicazione in bilancio del valore del terreno”. Analogo chiarimento è stato fornito dalla AE nella sua circolare n. 11/2007, nella quale, in un certo senso, contraddice se stessa atteso che testualmente si precisa che “si definiscono immobili “cielo-terra” quelli che occupano tutto lo spazio edificabile con un’unica unità immobiliare, come nel caso di un capannone industriale”.
Sulla materia si è soffermata anche la Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti, che nel documento del 28 febbraio 2015, sotto il profilo contabile, precisa che lo scorporo “è evidente per le situazioni cosiddette “terracielo”, anche se è egualmente plausibile anche qualora un fabbricato sia posto in un edificio”.
La Fondazione sembra, quindi, ammettere lo scorporo anche per i fabbricati che costituiscono una quota parte dell’immobile complessivo, come i singoli appartamenti.
Anche il C.N.D.C.E.C. si è occupato della questione, precisando in uno dei suoi documenti (maggio 2015) che:
- per i fabbricati “cielo-terra”, occorre procedere allo scorporo del terreno, in quanto quest’ultimo non può essere ammortizzato;
- nel caso di fabbricati non “cielo-terra”, lo scorporo è “egualmente possibile se ritenuto corretto”.
Ambedue le indicazioni, sia quella Fondazione che quella del Consiglio Nazionale, non sembrano dirimenti.
A ben vedere, alla luce soprattutto della ratio e senso logico del principio O.I.C. n. 16, per i fabbricati non cielo-terra, lo scorporo sembrerebbe previsto in via facoltativa.
Lo stesso C.N.D.C.E.C. ha richiamato la “Guida operativa per la transizione ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS)” predisposta dall’O.I.C., in base alla quale “lo scorporo del terreno dal fabbricato deve avvenire nell’ipotesi di fabbricato cielo-terra: nessuno scorporo è necessario se il fabbricato di proprietà consiste in una quota parte del fabbricato (in genere, un appartamento), in quanto, in tal caso, l’impresa non possiede (anche) un terreno sottostante (questo, ovviamente, nell’ipotesi in cui la quota parte costituisce una frazione minore del fabbricato)”, affermando che tale indicazione dovrebbe valere, evidentemente, anche per i bilanci redatti secondo le norme del codice civile.
E’ evidente che per i fabbricati “non cielo-terra” lo scorporo del terreno è un “esercizio” di stima che non ha alcun senso logico, né pratico, di fatto impossibile da perseguire. Si pensi ad un appartamento o ad un ufficio inseriti in un palazzo di 5 piani, in un condominio, relativamente ai quali si debba fare la valutazione della “proiezione” degli stessi sul terreno sottostante, terreno tra l’altro comune a tutte le singole unità immobiliari sovrastanti !
Per concludere, in termini civilistici è più corretto non procedere allo scorporo, a maggior ragione forfetariamente e senza alcuna perizia di stima a supporto (come invece imposto dall’art. 36, c. VII, del DL 223/2006 in ottica tributaria), del valore del terreno nel caso di fabbricati non cielo-terra, sottoponendo, quindi, ad ammortamento l’intero valore dell’immobile.
In termini tributari, al contrario, solo sulla base del dettato dell’art. 36 infra indicato, per tutte le categorie catastali ed unità immobiliari, quindi anche non cielo-terra, per effetto del mancato scorporo in termini civilistici, occorrerebbe operare una variazione in aumento in sede di dichiarazione annuale dei redditi, in misura corrispondente alla quota di ammortamento non deducibile ascrivibile alla quota del terreno, come forfetariamente imposta dall’Agenzia delle Entrate (20%, 30% per i fabbricati industriali).