Abuso del diritto e cessione di quote. Sentenza della Ctr Lombardia n. 2562/2020: l’A.d.E. non può rettificare il conferimento di “ramo d’azienda” con successiva cessione delle quote della conferitaria.

Roma, 17 Dicembre 2020

Nella recente sentenza n. 2562 della CTR Lombardia, sez. 13, dello scorso 10 novembre, i Giudici lombardi cristallizzano in modo inequivocabile una serie di principi, posti a presidio anche dei confini del c.d. “abuso del diritto” in materia tributaria.

La fattispecie sulla quale si sono pronunciati nel merito i Giudici: è illegittimo l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro che riqualifica la cessione di quote sociali preceduta da conferimento del ramo di azienda come cessione del complesso aziendale, nel senso “……. che la cessione totalitaria di quote preceduta dal conferimento di ramo di azienda non può essere tassata alla stregua di una cessione di ramo di azienda unitaria sulla base del disposto dell’art. 20 DPR 131/86 come modificato dalla legge di bilancio del 2018 e del 2019”.

Ragion per cui, l’imposta di registro (ma i principi illustrati non possono non essere utilizzati anche in materia di imposte dirette ed abuso del diritto ex art. 10-bis della L. 212/2000) deve essere applicata solamente sulla base dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici prodotti dall’atto presentato alla registrazione, in ossequio alla dirimente sentenza della Corte Costituzionale 158/2020 dello scorso 21 Luglio, laddove i superiori Giudici hanno ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 20 del T.U.R., sollevate dalla Cassazione con l’ordinanza 23459 del 23/09/2019.

Il caso oggetto di gravame della sentenza 2562/2020 della Ctr Lombardia è interessante perché la fattispecie è oggetto di innumerevoli contenziosi generatesi dall’interpretazione dell’articolo 20 dell’imposta di registro.

La tesi dell’A.d.E., come molti Contribuenti sanno, avallata erroneamente in passato anche da una Cassazione non particolarmente “attenta” (tranne isolati casi di segno opposto), è stata sempre quella che gli atti sottoposti a registrazione potessero essere riqualificati prendendo in considerazione anche elementi non attinenti o estranei all’atto medesimo.

In modo opportuno, con l’articolo 1, comma 87, lettera a), della L. di Bilancio 2018 è stato riformato l’articolo 20 del T.U.R. il quale, nella sua attuale formulazione, impedisce all’A.d.E., in sede di liquidazione dell’imposta dovuta a fronte della registrazione di un atto, la possibilità di considerare fatti negoziali e/o situazioni temporali e/o economico/finanziarie che non afferiscono l’atto medesimo.

Sulla portata della nuova norma – se retroattiva o solo per gli atti successivi al 2019 – è nuovamente dovuto intervenire il legislatore, con la legge di Bilancio 2019, affermando espressamente la natura interpretativa e dunque l’effetto retroattivo della modifica legislativa.

I giudici della sez. 13 della Ctr Lombardia, motivano la loro decisione recependo i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza dello scorso 21 luglio, in sede di dichiarazione di infondatezza dei rilievi sollevati dalla Cassazione in base ai quali l’articolo 20 del Dpr 131/1986 non è una norma anti elusiva e, trattandosi di imposta d’atto, il presupposto impositivo si ricava unicamente sulla base dagli effetti giuridici dell’atto portato alla registrazione prescindendo dalla valutazione degli elementi extratestuali e dagli atti ad esso collegati.

Per concludere, quanto puntualizzato dai giudici di Milano è rinvenibile in un passaggio della sentenza della Corte Costituzionale n. 158/2020 laddove si legge che “Una volta constatato, per quanto sopra detto, che non è manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell’imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di “imposta d’atto” nei sensi sopra precisati, in caso di collegamento negoziale, qui può solo osservarsi, sul piano costituzionale, che l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000. Infatti, consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).

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