Società di comodo: anche a giudizio della Cassazione le unità immobiliari sfitte vanno rilevate in bilancio tra le “rimanenze”, con evidenti riflessi sui bilanci delle società e sul reddito imponibile presunto.

Roma, 23 Febbraio 2021

Dalla lettura delle motivazioni dell’ordinanza della Cassazione n. 2785 depositata in data 05/02/2021, si ha conferma – in sede di legittimità – che la classificazione degli immobili non locati tra le “rimanenze” ne determina l’esclusione dal computo dei ricavi presunti ai fini delle c.d. “società di comodo

In particolare – si legge – il test di “operatività” di cui all’art. 30 della L. 724/94 deve essere svolto con riferimento alle singole unità abitative identificate catastalmente, anche qualora si tratti di un unico complesso immobiliare composto da più unità abitative, alcune delle quali concesse in locazione e alcune delle quali rimaste sfitte.

In altri termini, il giudizio circa la effettiva destinazione economica dell’immobile alla fine dell’anno, è dirimente ai fini dell’iscrizione del singolo immobile sfitto tra le immobilizzazioni materiali oppure tra le rimanenze, con la conseguente espunzione – in quest’ultimo caso – dai valori immobiliari ai fini del computo dei “ricavi presunti”.

Vale la pena rammentare che l’eventuale classificazione degli immobili – nella fattispecie – nell’attivo circolante tra le “rimanenze”, incide sul test di operatività della disciplina delle società non operative (come detto, ex art. 30 della L. 724/94), la quale prevede che l’ammontare dei ricavi presunti e del reddito minimo sia ottenuto applicando determinate percentuali al costo fiscalmente riconosciuto delle immobilizzazioni iscritte in bilancio (immobili, altre immobilizzazioni, etc.), escludendo dal calcolo i beni iscritti nell’attivo circolante, laddove trovino allocazione tra le “rimanenze finali”.

Nel caso posto all’attenzione della Cassazione, l’A.d.E. contestava l’iscrizione tra le rimanenze di un complesso immobiliare, ravvisando la sua destinazione ad investimento durevole in quanto gli immobili, originariamente destinati alla vendita, erano stati concessi in locazione e i relativi canoni rappresentavano l’unica fonte di reddito della società; inoltre, rilevava ancora l’A.d.E. nel suo accertamento, la società non aveva svolto, in modo esclusivo o prevalente, attività di costruzione per la vendita, trattandosi invece di società ad oggetto immobiliare “misto”, caratterizzato sia dalla gestione di immobili destinati alla locazione sia destinati alla loro ristrutturazione per la vendita.

Come esito sanzionatorio del proprio verbale, l’A.d.E. riclassificava tutte le unità abitative facenti parte del complesso immobiliare da attivo circolante-rimanenze, inconferenti ai fini del calcolo dei ricavi presunti, ad immobilizzazioni materiali, rilevanti invece ai fini del calcolo dei ricavi presunti.

La società accertata, risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, presentava ricorso per Cassazione, contestando la “visione” riqualificatoria dell’A.d.E. in base alla quale se in un complesso immobiliare prevalgono, numericamente, le unità immobiliari locate rispetto a quelle sfitte, tutto il complesso immobiliare è strumentale e va ricondotto alle “immobilizzazioni materiali”, non potendosi quindi allocare in bilancio le unità sfitte tra le “rimanenze” di fine anno.

Nell’accogliere tale motivo del ricorso della società, la Suprema Corte evidenzia come la classificazione degli immobili nell’attivo circolante tra le rimanenze, in luogo della classificazione tra le immobilizzazioni materiali, vada improntata ai corretti principi contabili.

In tale scenario fattuale, a giudizio della Cassazione è errato ritenere che l’intero immobile, costituito da tredici unità immobiliari di cui quattro sfitte, debba essere allocato in bilancio interamente tra le “immobilizzazioni materiali”. Infatti, seppur le disposizioni codicistiche che regolano la redazione del bilancio impongano di avere riguardo alla destinazione economica dell’unità immobiliare ai fini della sua iscrizione nell’una o nell’altra categoria, la riscontrata durata pluriennale e cumulativa dei contratti di locazione aventi ad oggetto il maggior numero di unità abitative che componevano il complesso immobiliare, non consente di considerare l’intero complesso immobiliare come bene strumentale, dovendosi necessariamente tenere distinte le unità abitative locate, che correttamente devono essere incluse tra immobilizzazioni materiali, dalle unità abitative non locate, allocabili tra le rimanenze di fine anno.

Queste ultime, infatti, rappresentano “immobili merce”, da classificare contabilmente come rimanenze a disposizione della società ai fini della vendita e/o della futura locazione.

La Cassazione precisa, altresì, che tra i ricavi effettivi ai fini del superamento del “test di operatività” rientrano:

  1. quelli iscritti alla voce A.1, ricavi delle vendite e delle prestazioni;
  2. quelli iscritti alla voce A.5, altri ricavi o proventi;
  3. gli incrementi delle rimanenze rilevati nella voce A.2, variazione delle rimanenze dei prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e prodotti finiti;
  4. gli incrementi delle rimanenze rilevati nella voce A.3, variazione dei lavori in corso su ordinazione,
  5. gli incrementi delle rimanenze rilevati nella voce B.11, variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci.

La Suprema Corte, andando oltre, fornisce un importante chiarimento per cui nel calcolo dei ricavi effettivi, sempre ai fini del test di operatività delle “società di comodo”, debbano essere presi in considerazione anche i ricavi provenienti dai beni non iscritti nelle immobilizzazioni.

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