Roma, 5 ottobre 2023
La legge delega di riforma fiscale – in iter attuativo – prevede importanti semplificazioni al regime del monitoraggio del c.d. ROL fiscale in materia di deducibilità degli interessi passivi delle società.
In particolare, l’art. 6 comma 1 lett. d) della L. 111/2023 prevede la “revisione della disciplina della deducibilità degli interessi passivi anche attraverso l’introduzione di apposite franchigie, fermo restando il contrasto dell’erosione della base imponibile realizzata dai gruppi societari transnazionali”.
Come noto, da alcuni anni l’art. 96 del TUIR dispone per i soggetti IRES che gli interessi passivi e gli oneri assimilati siano deducibili in ciascun periodo di imposta sino a concorrenza degli interessi attivi e dei proventi assimilati e, per l’eventuale eccedenza, nel limite del 30% del ROL “fiscale”.
È altresì noto che questo regime non si applica agli imprenditori individuali, alle società di persone e agli enti non commerciali titolari di redditi d’impresa, per i quali gli interessi passivi sono disciplinati dall’art. 61 del TUIR e, di norma, risultano integralmente deducibili.
Per i soggetti aderenti al “consolidato fiscale”, poi, l’art. 96 comma 14 del TUIR stabilisce che l’eventuale eccedenza di interessi passivi e oneri assimilati indeducibili generatasi in capo a un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d’imposta:
- un ROL capiente non integralmente sfruttato per la deduzione;
- un’eccedenza di interessi attivi e proventi finanziari rilevanti ai fini della compensazione con gli interessi passivi.
La Relazione al Disegno di Legge delega evidenzia che l’“impostazione” delle norme del nostro TUIR, risultato finale del recepimento dell’art. 4 della direttiva 2016/1164/Ue (c.d. direttiva ATAD 1), non risulta oggettivamente in linea con gli originari principi comunitari sottostanti e, soprattutto, non risulta coerente con le finalità di rilancio delle attività produttive.
Le azioni da intraprendere, non delineate in modo espresso dal testo di legge, sembrano invece desumersi dalla Relazione stessa, la quale fa espresso riferimento alle opzioni che l’art. 4 stesso concedeva agli Stati membri e che l’Italia ha esercitato, con l’attuazione da parte del DLgs. 142/2018, solo in parte.
La finalità della direttiva “ATAD 1” è quella di contrastare l’erosione della base imponibile dei singoli Stati membri, realizzata dai gruppi societari transnazionali attraverso il pagamento di interessi passivi in eccesso. In quest’ottica, la direttiva indica un modello che si basa sull’applicazione di un limite alla deduzione degli interessi passivi netti, commisurato a una percentuale fissa del 30% dell’EBITDA.
Fatta questa premessa, l’Italia ha sfruttato – come non raramente è accaduto anche per altri ambiti normativi – solo le deroghe previste dalla direttiva, ovvero:
- l’esclusione dal nuovo regime degli interessi riferiti a prestiti stipulati prima del 17 giugno 2016 (data in cui è stata resa pubblica la proposta di direttiva), attuata con la speciale disciplina transitoria dell’art. 13 comma 4 del D. Lgs. 142/2018;
- la salvaguardia per gli interessi dei prestiti utilizzati per il finanziamento di progetti infrastrutturali pubblici, attuata con l’art. 96 commi 8-11 del TUIR.
Non sono invece state recepite all’atto della riforma del 2018 altre tre importanti deroghe, le quali sono espressamente richiamate dalla Relazione al DdL. Delega per la riforma fiscale.
La prime due sono stabilite dall’art. 4 paragrafo 3 della direttiva ATAD 1, il quale concede agli Stati membri di escludere dai limiti alla deduzione degli interessi passivi le imprese non appartenenti a un gruppo, in quanto inidonee per definizione a dar luogo a effetti di erosione della base imponibile, come pure le imprese facenti parti di gruppi, che presentino un ammontare complessivo di interessi passivi non superiore alla soglia di euro 3 milioni.
La Relazione al Ddl. delega richiama espressamente la franchigia di euro 3kk di interessi passivi comunque deducibili, fruibile sin dal 2016 negli ordinamenti degli altri Stati europei, la quale, se applicata, di fatto escluderebbe dal test del ROL la grande maggioranza delle società italiane.
La terza deroga (applicabile ai gruppi societari) a cui l’Italia non ha dato corso nel 2018 è quella disciplinata dall’art. 4 paragrafo 5 della direttiva, secondo cui, in sostanza, una maggiore deduzione può essere riconosciuta alla società, qualora gli interessi passivi avessero trovato copertura nel c.d. EBITDA del gruppo d’appartenenza ovvero, in alternativa, qualora l’impresa fosse stata in grado di dimostrare che il rapporto tra capitale proprio e totale degli attivi della singola società fosse in linea con quello del gruppo di appartenenza, senza discrepanze contabili significative.
In estrema sintesi, come sopra precisato l’attuale impianto normativo del TUIR risulta effettivamente – in alcuni punti dirimenti – diverso da quello indicato dalla direttiva ATAD 1. Ed è per tale motivo che nella Relazione al Ddl. Delega di riforma fiscale, fermi restando gli obiettivi di contrasto all’erosione della base imponibile a livello di gruppi transnazionali, l’art. 96 del TUIR dovrebbe essere significativamente modificato a beneficio dei soggetti IRES, rendendolo più coerente con la normativa europea.