Roma, 15 novembre 2023
Nella recente risposta all’interpello rubricato con n. 904-91/2023, la DRE Lombardia ha confermato un suo oramai consolidato indirizzo in merito ai corrispettivi ricevuti “a saldo e stralcio” del credito in sede di transazione – nella fattispecie da parte della curatela fallimentare – quale controvalore della rinuncia al contenzioso per il risarcimento dei danni – nella fattispecie, provocati dagli amministratori della società fallita – stigmatizzando che detti importi rientrano nell’ambito di applicazione IVA, integrando il “presupposto oggettivo” dell’art. 3 comma 1 del DPR 633/72.
Come noto (cfr. blog del 14/09/2021), il trattamento IVA delle somme derivanti da un accordo transattivo rappresenta un tema controverso, sebbene di indubbio rilievo e attualità, a fronte della frequenza con cui le parti raggiungono un’intesa per prevenire o porre fine a una controversia.
Il consolidato orientamento dell’A.d.E. ritiene assoggettabile a IVA il corrispettivo ricevuto a fronte dell’accordo transattivo, essendo irrilevante l’eventuale effetto “novativo” della transazione.
Il corrispettivo percepito a fronte della rinuncia dimostrerebbe, secondo la lettura della fattispecie da parte dell’A.d.E., l’esistenza di uno scambio di prestazioni (sinallagma contrattuale), stante il nesso tra l’obbligo di “non fare” (non agire) e il pagamento da parte degli amministratori.
Secondo l’A.d.E., per stabilire l’assoggettabilità o no, in ottica IVA, delle somme definite nell’ambito di accordi transattivi (risposte a interpello nn. 33/2023, 212/2022, 145/2021, 179/2021, 212/2021, 356/2021), occorre verificare la “funzione economica” di tali somme e, in particolare, se esse costituiscano l’effettivo corrispettivo di una prestazione di servizi (cfr. Corte di Giustizia Ue, cause C- 102/86, C-16/93, C-174/00 e C-210/04), ovvero se siano versate a titolo di liberalità o abbiano natura solo risarcitoria.
Con riguardo alla nozione di “prestazione di servizi”, nell’interpello 904-91/2023 l’A.d.E. ricorda che, ai sensi dell’art. 24 comma 1 della Direttiva Ue 112/2006, si considera tale ogni operazione che non costituisce una cessione di beni e, ai sensi dell’art. 25 comma 1, essa può consistere, tra l’altro, anche (lett. b) nell’obbligo di non fare o di permettere un atto o una situazione.
Quest’ultima norma è stata trasfusa nell’art. 3 comma 1 del DPR 633/1972, che qualifica come “prestazioni di servizi”, ai fini IVA, quelle rese dietro corrispettivo che derivano anche da “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere, quale ne sia la fonte”.
In tal senso si pone la giurisprudenza nazionale, secondo cui la prestazione di servizi è soggetta a IVA anche quando si risolva in un non fare o “tollerare”, all’interno di un rapporto sinallagmatico (Cassazione n. 20233/2018), a fronte di un corrispettivo (Cassazione n. 23668/2018).
Le conclusioni cui giungono la prassi amministrativa e la giurisprudenza in tema di transazione meritano, tuttavia, qualche riflessione.
Fermo restando che l’accordo transattivo ex art. 1965 c.c. – col quale le parti, facendosi “reciproche concessioni”, pongono fine a una lite già incominciata o la prevengono – è un contratto a prestazioni corrispettive (ed è tale elemento che sembra stare alla base dell’orientamento dell’A.d.E.), ci si deve chiedere se la natura della pretesa “ante transazione” (ad esempio, di tipo risarcitorio) possa influire ai fini IVA.
In primo luogo, è rilevante (come cristallizzato in diverse sentenze, sia di merito che di legittimità) la distinzione tra “transazione conservativa” e “transazione novativa”, individuata, secondo la prevalente tesi giurisprudenziale, nel fatto che nella seconda sussiste una oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello costituito dalla transazione, la cui obbligazione sostituisce la precedente (Cass. nn. 7963/2020, 4455/2006 e 4008/2006).
In secondo luogo, andrebbe verificato l’effettivo contenuto dell’accordo sottoscritto tra le parti, per stabilire se vi sia il riconoscimento di un obbligo preesistente o se, invece, le parti rinuncino alle proprie pretese senza riconoscere le ragioni della controparte.
Sotto questo profilo, una parte della giurisprudenza (Cassazione n. 18764/2014) aveva escluso dal campo di applicazione IVA, stante la soggezione a diversa imposta d’atto (registro), le obbligazioni assunte in un negozio transattivo per la rinuncia ai contenziosi pendenti. Quando le pretese estinte per transazione hanno contenuto risarcitorio, infatti, appare dubbio ricondurle nel novero delle “prestazioni di servizi o cessioni di beni imponibili IVA”. In tale scenario, non rileva la mera assunzione di un’obbligazione dietro corrispettivo, né sussiste un’obbligazione riconducibile a un consumo che, in quanto tale, sia da assoggettare ad IVA.
In ciò si racchiude anche la ratio dell’esenzione IVA, ex art. 15 comma 1 n. 1) del DPR 633/72, delle somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre forme di inadempimento del cessionario/committente.
Resta comunque fermo, qualora ci si allineasse all’interpretazione particolarmente estensiva ed omnicomprensiva dell’A.d.E., che il “cessionario” (non consumatore finale), che abbia versato le somme a titolo “transattivo”, possa in ogni caso portare in detrazione l’IVA addebitagli in via di rivalsa.