Roma, 01 dicembre 2023
Nell’interpello n. 472/2023 l’A.d.E. ha formalmente sancito – su una fattispecie delineata – la neutralità fiscale del differenziale tra le somme impiegate per acquisire un credito d’imposta derivante da bonus edilizi e il valore nominale degli stessi che verrà utilizzato in compensazione dal cessionario.
La questione è particolarmente attenzionata e di grande interesse da almeno un paio di anni, atteso che il Legislatore non ha disciplinato la materia, rinviando implicitamente ai “principi generali” del T.U.I.R..
Questo – in sintesi – il perimetro della fattispecie.
La risposta ad interpello n. 472/2023 viene fornita a valle di un’istanza presentata da uno “studio professionale associato”, ma contiene diversi spunti d’interesse da poter essere traslata anche su altri “soggetti” cessionari dei bonus fiscali.
In prima analisi, tra le righe dell’interpello in esame l’A.d.E. ribadisce – naturalmente – l’assimilazione degli “studi associati” alle “società semplici” il che implica, per default, che il reddito fiscale di tali soggetti sia costituito dalla sommatoria delle singole categorie di reddito indicate nell’art. 6 del T.U.I.R..
Da ciò deriva, secondo l’A.d.E., la necessità di verificare se il provento in esame rientri in una delle tre tipologie: a) redditi di capitale; b) redditi di lavoro autonomo; c) redditi diversi.
Nell’evidenziare che l’esercizio in forma associata di “arti e professioni” costituisce ex art. 53 del T.U.I.R. reddito di lavoro autonomo, l’impostazione che si coglie tra le righe dell’interpello 472/2023 appare plausibile solo nella misura in cui l’investimento in questione non sia ovviamente connesso all’attività professionale.
Se, nel caso di specie, lo studio associato avesse deciso di investire la liquidità generata dall’attività professionale, ci si sarebbe potuti limitare all’analisi dell’art. 53 del T.U.I.R., concludendo, come di fatto ha concluso l’A.d.E., che il markup originato dall’acquisto dei crediti non può essere tassato.
Date le premesse, però, l’AdE si spinge ad analizzare la questione anche sotto il profilo della disciplina sia dei redditi di capitale sia dei redditi diversi, arrivando a conclusioni che dovrebbero assumere portata generale.
Con riferimento ai “redditi di capitale”, l’art. 44 comma 1 lett. h) del T.U.I.R. prevede che rientrino tra le fattispecie imponibili “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.
Come affermato in passato dalla stessa A.d.E., detta disposizione ha una sorta di funzione di chiusura, nel senso che per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Rientrano in tale previsione:
- i proventi che sono giuridicamente qualificabili come “frutti civili” ai sensi dell’art. 820 c.c., vale a dire i proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che un terzo abbia di un capitale;
- tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che, pur se non riconducibile tra quelli precedentemente menzionati, presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
La richiamata lett. h) dell’art. 44 del T.U.I.R. qualifica quindi come reddito di capitale ogni rapporto attraverso il quale venga attuato un impiego di capitale, dovendosi intendere per tale la semplice concessione temporanea alla controparte della disponibilità del capitale.
Sulla base di tale scenario, l’A.d.E. precisa nella risposta n. 472/2023 che “l’acquisto del credito d’imposta dietro corrispettivo non costituisce impiego di capitale nel senso appena chiarito (cfr. circolare 24/06/1998 n. 165/E)”.
Anche per quanto concerne i “redditi diversi”, la risposta 472/2023 esclude che si possa applicare l’art. 67 comma 1 lett. c-quinquies) del T.U.I.R., norma in base alla quale sono assoggettati a tassazione “le plusvalenze ed altri proventi realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.
Come chiosa finale, l’A.d.E. precisa quindi che alla luce di quanto illustrato, in assenza di una espressa previsione normativa, volta ad attribuire rilevanza reddituale all’eventuale differenziale positivo tra l’importo nominale del credito e il prezzo di acquisto dello stesso, e stante la non riconducibilità di tale differenziale in una delle categorie reddituali previste dal T.U.I.R., si ritiene che detto acquisto non genera, in linea di principio, reddito imponibile.
Fermo quanto anzidetto, come fa sempre nei propri documenti ufficiali, l’A.d.E. conclude precisando che “il presente parere viene reso sulla base degli elementi rappresentati, assunti acriticamente come illustrati nell’istanza di interpello, restando impregiudicato ogni potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria, anche ai fini di una diversa qualificazione fiscale della fattispecie in esame, tenendo conto del comportamento, rilevabile in concreto, assunto dall’Istante nonché della rilevanza e dell’abitualità delle effettuazione delle descritte operazioni di acquisto dei crediti di imposta”.