Roma, 19 Aprile 2019
Il secondo periodo del comma 1 dell’art. 99 del T.U.I.R. stabilisce che le imposte di registro, ipotecarie e catastali – le c.d. “imposte d’atto” – rientrano tra le imposte che sono deducibili dal reddito di impresa e dalla base imponibile IRES nel periodo di imposta in cui sono pagate, ovvero secondo il criterio di cassa.
Tuttavia è possibile, in termini civilistici, che contabilmente le imposte d’atto vengano capitalizzate sul costo di acquisto, di un immobile o di un’azienda.
In questi casi, va da sé che la deduzione dei relativi importi, che, in qualità di oneri accessori di diretta imputazione, sono stati capitalizzati sul costo di acquisto dell’immobilizzazione materiale o immateriale, ai sensi dell’art. 2426, n° 1, del CC, segua il principio della competenza economica in luogo di quello di cassa.
Anche la suprema Corte di Cassazione – con ordinanza del 28/09/2001 n. 12119, seppure con riguardo alle differenti fattispecie dell’imposta di consumo e dei dazi doganali – ha sottolineato come la natura del tributo quale “onere di diretta imputazione” capitalizzabile sul costo di acquisizione dei beni, secondo i principi contabili, ne comporta la deducibilità per competenza, anziché per cassa, in virtù del principio di correlazione tra costi e ricavi.
Se, quindi, non appare in discussione la deducibilità degli oneri sostenuti a titolo di imposte d’atto anche quando le scelte operate sul piano contabile portano ad una loro concorrenza al reddito imponibile diluita su più periodi di imposta (capitalizzazione), è però opportuno sottolineare come appaia non percorribile l’eventuale scelta tesa a “coniugare” la capitalizzazione delle imposte versate con l’integrale deduzione per cassa in termini tributari, mediante apposita “variazione in diminuzione”del risultato civilistico in sede di redazione di UNICO, evidenziando così un disallineamento tra valore contabile e valore fiscale residuo del bene (immobile o azienda che sia) cui i tributi sono stati imputati a titolo, appunto, di capitalizzazione.
In particolare, solo nell’istante in cui – comunque nel rispetto di corretti principi contabili – le “imposte d’atto” venissero capitalizzate sul costo dell’immobilizzazione, perderebbero la propria natura di “costo dell’esercizio”, assumendo quella di componente di costo del bene cui viene imputato, seguendone a quel punto le relative regole di deduzione fiscale.