Contratti di locazione a canone scalettato, effetti fiscali per il locatore.

Roma, 21 Novembre 2019

Il trattamento contabile/fiscale dei c.d. “canoni di locazione scalettati” relativi agli immobili a destinazione commerciale, alimenta spesso il dibattito ed il contenzioso nelle aule delle Commissioni tributarie.

La riduzione, concordata tra le Parti, dei canoni di locazione motivata con il sostenimento delle spese di ristrutturazione da parte del Conduttore può configurare, in ottica tributaria, un pagamento del canone in natura, con intuibili effetti in capo al Locatore.

Come noto agli operatori del settore immobiliare, è prassi diffusa quella di riconoscere al Conduttore una riduzione del canone di locazione di un immobile commerciale per i primi anni di vigenza del contratto, giustificata o dall’esigenza di tutelare la fase di start up del Conduttore o, più di sovente, dall’intento di “valorizzare” i lavori di ristrutturazione che il Conduttore sostiene, vuoi per migliorare l’immobile, vuoi per renderlo maggiormente adatto alle esigenze del proprio business.

Dal punto di vista della legittimità civilistica di questo tipo di accordo non vi sono dubbi, come ancora una volta precisato nello scorso mese di settembre dalla Suprema Corte di Cassazione, che nella sua ordinanza n. 23986/2019 ribadisce che simili accordi sono validi anche se l’aumento non è legato a elementi oggettivi e predeterminati, purché la pattuizione sia assunta in sede di stipula del contratto e non sia preordinata ad aggirare i limiti dell’art. 32 della L. 392/78, in materia di svalutazione monetaria.

Le ripercussioni di queste pattuizioni, sul piano della fiscalità diretta del Locatore, sono invece ancora dibattute e spesso oggetto di attenzione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In particolare, secondo la tesi dell’AE, la concordata riduzione dei canoni per i primi anni di vigenza del contratto (specie quando giustificata da spese di ristrutturazione sostenute dal Conduttore) non avrebbe alcuna rilevanza ai fini fiscali. Tale posizione sarebbe giustificata in base al disposto dell’art. 26, comma 1 del T.U.I.R., secondo il quale i redditi fondiari concorrono a formare il reddito del titolare, “indipendentemente dalla loro percezione”.

La posizione dell’AE è stata peraltro avallata dalla giurisprudenza della Cassazione, che sin dalle sentenze n. 2939/2006 e n. 15808/2006 (ma in ambito IVA) ha espresso il principio per il quale i lavori di ristrutturazione realizzati dal Conduttore in un edificio condotto in locazione si risolvono in un sostanziale vantaggio per il proprietario, rappresentando null’altro se non una corresponsione del canone “in natura”.

La questione sopra delineata è tornata ad essere oggetto di recenti pronunce delle Commissioni tributarie che hanno, nei fatti, affinato il principio espresso dalla Cassazione nel 2006, legando gli effetti fiscali in capo al Locatore alle ragioni “economiche” sottese allo “sconto”.

La prassi immobiliare, difatti, dimostra che spesso i lavori di ristrutturazione effettuati dal Conduttore, più che risolversi in un miglioramento generale dell’immobile, sono invece direttamente ed esclusivamente volti ad adeguare lo stabile alle esigenze del business del Conduttore; circostanza che, a volte, implica addirittura una riduzione del valore di mercato dell’immobile. In tali fattispecie, secondo la più recente giurisprudenza di merito, la riduzione del canone accordata dal Locatore deve essere riconosciuta anche ai fini fiscali, posto che i lavori di ristrutturazione effettuati dal Conduttore non si risolvono in un beneficio per il proprietario, ma rispondono, in via esclusiva, ad esigenze proprie del Conduttore.

Circostanza, quest’ultima, recentemente apprezzata dalla C.T. Reg. Lombardia con sentenza n. 3999/22/2019, con la quale la pretesa erariale è stata annullata proprio in considerazione del fatto che i lavori effettuati dal Conduttore per adeguare l’immobile alle proprie esigenze non avrebbero prodotto vantaggi per il proprietario, anzi avrebbero potenzialmente ridotto il valore di mercato dell’immobile per la particolare “invadenza” delle opere di trasformazione ed adeguamento del locale commerciale.

In altre fattispecie, invece, i giudici tributari hanno annullato il petitum dell’Agenzia sostenendo che lo “sconto” sul canone, genericamente legato a spese e adempimenti vari in capo al Conduttore, non fosse legato all’effettuazione di lavori di ristrutturazione incrementali del valore dell’immobile (cfr. CTR Regione Lazio, sentenza n. 5921/2017). Recentemente la CTR Regione Lazio, con propria sentenza n. 3284/2019, ha precisato qualcosa in più, ovvero che lo “sconto” sul canone a fronte dell’esclusiva effettuazione di lavori di ristrutturazione che comportino un evidente vantaggio per il locatore/proprietario non ha efficacia ai fini fiscali, con l’effetto che deve essere assoggettato ad imposta l’intero ammontare del canone, al lordo della riduzione determinata dalla “scaletta”. Al contrario, proseguono i giudici, laddove la riduzione del canone di locazione sia giustificata dall’intento di agevolare il Conduttore nell’avvio della propria attività, senza che sussista alcuna correlazione con lavori di ristrutturazione, lo sconto non può essere disconosciuto dall’ufficio, rappresentando una lecita pattuizione fra le parti, efficace anche ai fini fiscali.

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