Cessione di partecipazioni rivalutate ed “abuso del diritto” ex art. 10-bis della L. 212/2000, l’interessante ordinanza della Cassazione n. 24839 del 06/11/2020.

Roma, 07 novembre 2020

Come si è avuto modo di segnalare nel blog del 31 ottobre u.s. (cui si rinvia per i dettagli), il 16 novembre scadrà il termine per completare l’iter per accedere, per chi ne avesse necessità, ai benefici di legge per neutralizzare le plusvalenze da cessione di quote/azioni, versando l’imposta sostitutiva dell’11% (o della prima delle tre rate, corrispondente ad 1/3 del totale) per la rideterminazione del costo delle partecipazioni non quotate, detenute da persone fisiche alla data del 01/07/2020.

Con riferimento a questo regime agevolativo, che dall’anno della sua introduzione – il 2001 –  è stato prorogato di anno in anno dalle “Leggi di Bilancio”, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24839 del 6 novembre interviene in merito all’applicazione dell’abuso del diritto nella fattispecie di vendita di quote rivalutate ad una società controllata dal soggetto cedente non imprenditore, con un non trascurabile beneficio in termini tributari.

I superiori Giudici, in estrema sintesi, hanno considerato “non elusivo” il comportamento del contribuente che, rivalutate le quote detenute in una società estera (una societè anonyme) per alcuni milioni di euro, le ha poi cedute ad una società di diritto italiano, appena due giorni prima la distribuzione di dividendi a favore di quest’ultima (società cessionaria) da parte di una terza società partecipata, dividendi di fatto serviti per il pagamento del corrispettivo delle quote precedentemente rivalutate dal contribuente. L’abuso, a giudizio dell’AdE, sarebbe stato nell’avere eluso, il contribuente, le imposte sul pagamento dei dividendi societari, di fatto percepiti a diverso titolo, ovvero quale corrispettivo della cessione delle quote, per di più rivalutate e quindi ad un’aliquota fiscale particolarmente vantaggiosa.

I Giudici della Suprema Corte, richiamando i principi enunciati in altre recenti ordinanze, sottolineano che affinché sia configurabile l’abuso del diritto in un’operazione societaria, è dirimente che questa abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo principe di eludere il Fisco.

Deve cioè trattarsi di un’operazione che non abbia una giustificazione economica apprezzabile, differente dall’intento di conseguire un risparmio di imposta indebito (comma 2, lett. b) dell’art. 10-bis).

In sostanza, si afferma nella sentenza che il carattere elusivo di un’operazione si fonda normativamente sul difetto ed assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale. Pertanto, il divieto di comportamenti c.d. abusivi non vale qualora il comportamento del contribuente possa essere spiegato da ragioni diverse dal mero conseguimento di un risparmio di imposta, “poiché deve essere sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale”.

Nel caso di specie, il fatto che il socio persona fisica abbia ceduto definitivamente ad una società di capitali la partecipazione rivalutata viene considerato un elemento decisivo ai fini delle operazioni poste in essere: infatti, scrivono i giudici, il contribuente ha effettivamente venduto le quote che sono quindi uscite dalla sua disponibilità.

Nella recente ordinanza, in merito all’utilizzo fatto dal contribuente della legge sulla rivalutazione, i Supremi giudici precisano che “ ……. in presenza di operazioni di cessione effettive e non fittizie di un pacchetto azionario, per l’appunto alla ……….. s.r.l., non appare chiaro del come e del perché l’accesso a quella opzione fiscale agevolata abbia potuto rappresentare l’indispensabile presupposto del complessivo meccanismo abusivo, architettato dal socio-contribuente e teso a nascondere la sua effettiva capacità contributiva”.

In ordine alla portata della disciplina anti abuso, si evidenzia ancora nell’ordinanza n. 24839/2020, non rileva nemmeno che la cessione del pacchetto azionario sia avvenuta poco prima della distribuzione dei dividendi – tra l’altro deliberati molto tempo prima – e che il pagamento del corrispettivo della cessione delle quote si sia verificato al momento della distribuzione degli stessi alla società cessionaria delle azioni rivalutate. In particolare si legge nella sentenza: “….la denunciata sospetta tempistica delle cessioni dei pacchetti azionari poco prima della distribuzione dei dividendi, e con pagamento dei corrispettivi al momento della distribuzione ai cessionari dei dividendi medesimi, può costituire una scelta, anche singolare, ma di certo non collegabile assiomaticamente, come preteso, ad un esclusivo intento elusivo dell’intera operazione di cessione delle partecipazioni societarie”.

Chiudi il menu