Roma, 31 agosto 2023
I giudici della Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 24093 del 8.8.2023, delineano il perimetro del diritto dei soci delle società alla restituzione dei versamenti effettuati negli anni in c/to aumento capitale, qualora l’aumento di capitale non dovesse essere più formalmente deliberato dall’assemblea.
In particolare, la Cassazione statuisce il principio in base al quale i “versamenti in conto futuro aumento di capitale”, intendendosi per tali le dazioni di danaro dei soci a favore della patrimonializzazione della società, non possono essere intesi come definitivamente acquisite al patrimonio sociale, atteso che hanno specifico vincolo di destinazione, nella fattispecie il futuro aumento del capitale sociale.
In tale scenario, qualora l’aumento del capitale sociale non sia operato in quanto non più deliberato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato in precedenza con detta finalità, per essere venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società stessa, “quale ripetizione dell’indebito”.
Per qualificare la dazione come versamento in conto futuro aumento di capitale, a giudizio dei superiori Giudici occorre verificare che la volontà delle parti di subordinare il versamento all’aumento di capitale risulti in modo chiaro e inequivocabile, utilizzando indici di dettaglio (quali l’indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, il comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o nella nota integrativa al bilancio e clausole statutarie) e, comunque, qualsiasi altra circostanza della singola fattispecie, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti, non essendo sufficiente la sola “denominazione” utilizzata nelle scritture contabili.
Come noto, le dazioni del socio alla società possano avere varia origine e natura: a) conferimenti; b) finanziamenti; c) versamenti in conto capitale (o a fondo perduto); d) versamenti finalizzati a un futuro aumento del capitale.
Al di là dei conferimenti e dei finanziamenti, i “versamenti in conto capitale” (o a fondo perduto) sono privi della natura del mutuo, in quanto non ne è pattuito il diritto al rimborso. Tali versamenti, che possono provenire anche solo da alcuni soci, vanno iscritti nel passivo dello Stato Patrimoniale tra le riserve che l’assemblea può discrezionalmente utilizzare, con le ordinarie modalità, per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole comunque a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale (senza che occorra obbligatoriamente tener conto del soggetto che abbia effettuato il versamento, proprio in ragione dell’inesistenza di un credito alla restituzione delle somme o di una anticipata dazione a titolo di conferimento). L’apporto del socio produce l’acquisizione definitiva al patrimonio della società delle somme versate, da assimilare al capitale di rischio; la riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale ha, di regola, carattere disponibile, ma una eventuale distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio.
Nei “versamenti in conto futuro aumento del capitale”, invece, la dazione del denaro – anch’essa costituente una riserva di patrimonio netto – è finalizzata a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale. Al riguardo si è parlato di riserva “personalizzata” o “targata”, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che abbiano effettuato il versamento in relazione all’entità delle somme da ciascuno erogata.
Va da sé che qualora l’aumento di capitale non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato. Ciò non a titolo di rimborso di una somma data a mutuo, ma per essere venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita.
Affinché la dazione del socio sia ricondotta a tale categoria è necessario che la subordinazione a un aumento di capitale sia chiara e inequivoca, mediante l’indicazione – ex ante, ad esempio in un verbale assemblea ad hoc – di elementi sufficientemente specifici e dettagliati, i quali inducano a ritenere effettivamente convenuta tra i soci l’effettuazione non di un versamento “tout court” a favore delle casse sociali, ma di un versamento avente titolo e causa concreta proprio nella partecipazione al capitale sociale, mediante un futuro aumento di capitale sociale che, sebbene rinviato, si presenti comunque sin dall’inizio finalizzato ad aumentare la rispettiva quota di partecipazione sociale, in termini assoluti.
Ciò, per il principio generale di determinatezza o determinabilità ex art. 1346 c.c., secondo cui deve essere sempre individuabile – con sufficiente certezza – l’oggetto del contenuto di un accordo negoziale.
Le sole parole usate per individuare la riserva nelle scritture contabili non sono, dunque, di per sé esaustive. Rimane decisiva, nella qualificazione della dazione, l’interpretazione della volontà delle parti, rimessa – in caso di contenzioso tra società e soci – al prudente apprezzamento del giudice di merito, che dovrà accertare se si sia trattato di un contratto di finanziamento/mutuo o di un contratto atipico di conferimento e, in quest’ultimo caso, se esso sia stato – in modo inequivoco – condizionato o no ad un futuro aumento del capitale sociale della società.