Roma, 14 settembre 2023
La legge delega di riforma fiscale – in iter attuativo – unitamente ad altri interventi in materia di I.V.A., prospetta una revisione della disciplina delle operazioni esenti in ambito immobiliare, con alcune modifiche delle attuali disposizioni riferite al regime di esenzione ed opzione per l’imponibilità IVA nell’ambito delle cessioni di fabbricati e beni immobili in genere.
In particolare, nell’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 111/2023 si legge che il “legislatore” dovrà perimetrare “le operazioni per le quali i contribuenti possono optare per l’imponibilità, in conformità ai criteri posti dalla normativa dell’Unione europea”.
Uno dei possibili interventi legislativi allo studio attiene la migliore individuazione dell’ambito applicativo del regime di esenzione IVA nel settore immobiliare che, come testualmente evidenziato anche nella relazione illustrativa d’accompagnamento al Ddl, “risulta attualmente caratterizzato da una normativa complessa che distingue il regime fiscale applicabile in ragione della natura strumentale o abitativa degli immobili e della tipologia degli operatori”.
La disciplina IVA interna delle cessioni e delle locazioni è, come noto agli operatori, estremamente articolata, diversificata a seconda di chi sia il soggetto passivo cedente o locatore (impresa di costruzione o ripristino oppure impresa che non vi rientra e che faccia del solo trading immobiliare), nonché in base alla classificazione catastale dell’immobile.
Contrariamente alle nostre norme, la disposizione comunitaria che attribuisce agli Stati membri il diritto ad adottare il regime di esenzione, invece, non prevede alcun tipo di distinzione, riferendosi genericamente alle “cessioni di fabbricati o di una frazione di fabbricato e del suolo ad essi pertinente” [art. 135, par. 1, lett. j) della direttiva 2006/112/Ce], così come quella che consente la facoltà di opzione per l’imponibilità [art. 137 lett. b) della stessa direttiva].
Inoltre, non distingue tra “fabbricati abitativi e strumentali” neppure la norma comunitaria di esenzione che concerne “l’affitto e la locazione di beni immobili” [art. 135, par. 1, lett. l) della direttiva 2006/112/Ce] né quella relativa all’opzione per l’assoggettamento a imposta [art. 137, par. 1, lett. d) della citata direttiva].
Tuttavia, per quanto riguarda le cessioni di fabbricati, vi è da segnalare che una limitazione al regime di esenzione IVA vi è anche nella norma comunitaria, laddove si esclude dal regime di esenzione “la cessione, effettuata anteriormente alla prima occupazione, di un fabbricato o di una frazione di fabbricato e del suolo pertinente” [art. 12, par. 1, lett. a) della richiamata direttiva].
L’ambito e la ratio di questa esclusione sono stati illustrati dettagliatamente nella recente sentenza della Corte di Giustizia Ue 9 marzo 2023, causa C-239/22. La Corte spiega che “…. tali disposizioni operano in pratica una distinzione tra i vecchi fabbricati, la cui vendita non è in linea di principio soggetta all’IVA, e i fabbricati nuovi, la cui vendita è soggetta a tale imposta”: in altri termini, secondo i giudici comunitari, “…. la cessione, da parte di un soggetto passivo, di un fabbricato anteriormente alla sua «prima occupazione» è soggetta all’imposta, mentre la cessione di un fabbricato successiva alla sua «prima occupazione» a un consumatore finale ne è esentata”.
La ratio delle disposizioni comunitarie è “l’assenza relativa di valore aggiunto generato dalla vendita di un “vecchio fabbricato”. Infatti, la vendita di un fabbricato successiva alla sua “prima cessione” a un consumatore finale, che segna la fine del processo di produzione, non produce un valore aggiunto significativo e deve quindi, in linea di principio, essere esente da imposta.
Inoltre, a dispetto del tenore letterale della norma comunitaria, i lavori preparatori della sesta direttiva 77/388/Cee (tuttora vincolanti secondo la Corte Ue) hanno precisato che la “prima occupazione” del fabbricato è, più propriamente, da intendersi come il “primo utilizzo” del bene immobile. In questo modo, sono stati di fatto inclusi anche i fabbricati che hanno subìto una significativa trasformazione (o un intervento di “ripristino”), laddove la “trasformazione” di un fabbricato (così come oggi previsto anche dalle norme italiane, cfr. art. 3 del T.U. Edilizia) richiede che il bene abbia “… subìto modifiche sostanziali intese a modificarne l’uso o a cambiare in misura considerevole le condizioni di occupazione”.
L’interpretazione del limite (in un certo senso “temporale”, anche se solo in termini concettuali) posto dalla normativa comunitaria, trova spazio anche nelle norme italiane, quale discrimine tra il regime di esenzione e quello di imponibilità delle cessioni degli immobili, laddove la data di ultimazione dei lavori di costruzione/ristrutturazione degli stessi individua, in particolare, come imponibili le cessioni formalizzate entro cinque anni dalla “fine lavori” (cfr. art. 10, comma 8-ter, DPR 633/72).
Fatte queste premesse, i decreti delegati della riforma fiscale dovrebbero rivedere il criterio in virtù del quale si rende applicabile il regime di esenzione – con facoltà di opzione per l’imponibilità – piuttosto che l’assoggettamento ad IVA per obbligo [art. 10 comma 1 lett. 8-bis) e 8-ter) del DPR 633/72] per le imprese di costruzione o di “ripristino”.
E’ altresì presumibile attendersi che a valle della riforma fiscale sarà riconosciuto il diritto di opzione in favore del regime di imponibilità IVA anche per le cessioni o locazioni di fabbricati abitativi, ad oggi non generalizzato e limitato alle sole operazioni effettuate dalle imprese di costruzione o di “ripristino” e quelle che interessano gli alloggi sociali [è appena il caso di rammentare che il già citato art. 137, lett. b) e d), della direttiva 2006/112/Ce non limita l’opzione sulla base della natura/categoria catastale del fabbricato ceduto o locato].