Roma, 14 Settembre 2021
Negli ultimi diciotto mesi gli accordi transattivi hanno registrato un esponenziale incremento, anche per questo Assonime ha esaminato il trattamento I.V.A. delle somme pattuite nell’ambito dei medesimi, formulando considerazioni critiche in merito ad alcune posizioni assunte dall’A.d.E. negli ultimi mesi.
In diverse risposte ad interpello di recente pubblicazione, l’A.d.E. (forse mossa da “naturali” esigenze di gettito in questo particolare momento) ha ritenuto che le somme pattuite tra le parti in via transattiva costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizi imponibile ai fini I.V.A., consistente nell’assunzione dell’impegno a non proseguire azioni contenziose già iniziate, o comunque a non iniziare tali azioni o a rinunciarvi (interpelli nn. 145/2021, 179/2021, 212/2021, 356/2021 e 401/2021).
In estrema sintesi, a giudizio dell’A.d.E., le somme versate da una “parte” dell’accordo alla sua “controparte”, sono da considerare quale corrispettivo di un “obbligo di non fare”, come noto da assoggettare a IVA ex art. 3 del DPR 633/72, e non come un versamento meramente “risarcitorio”, fuori campo IVA ex art. 15 del DPR 633/72.
In particolare, con riferimento alla fattispecie esaminata nella risposta n. 145/2021, i funzionari dell’A.d.E. hanno osservato che il “nesso di sinallagmaticità funzionale rinvenibile dagli impegni reciprocamente assunti dalle parti conferma il carattere novativo degli accordi transattivi, con conseguente rilevanza I.V.A. delle somme corrisposte da Beta in favore di Alfa”.
A sostegno della propria interpretazione, l’Agenzia ha richiamato l’orientamento espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 23668/2018. Va però rilevato che la posizione della giurisprudenza sul punto non è univoca (cfr. Cass. n. 18764/2014 e, in tema di imposte dirette, Cass. n. 20316/2021).
Nella sua circolare del 9/9/2021 Assonime muove una serie di circostanziate critiche verso i recenti documenti di prassi emanati sul tema dall’A.d.E., non condividendo l’orientamento assunto enunciato in “termini assoluti”.
A giudizio di Assonime la rilevanza fiscale dell’accordo transattivo dovrebbe essere calato nella singola fattispecie ed essere oggetto di una “valutazione caso per caso”, in modo che consenta di identificare la specifica volontà delle parti (come rilevato, tra l’altro, dalla stessa A.d.E. in una sua risposta a interpello del 2019).
In linea generale, infatti, il contratto di transazione “può incidere sui presupposti impositivi dell’I.V.A. costituendo la base giuridica di variazioni relative a cessioni o prestazioni in essere fra le parti oppure di nuove operazioni”.
Nel primo caso, l’effetto dell’accordo transattivo sarebbe quello di permettere una variazione dell’imponibile. Nella sua circolare Assonime esemplifica la fattispecie in cui la lite riguarda un’operazione soggetta a I.V.A. e le parti pattuiscono il pagamento solo parziale del corrispettivo o la risoluzione del contratto. In tale ipotesi, l’accordo avrebbe l’effetto di permettere una variazione in diminuzione ex art. 26 del DPR 633/72, con emissione della relativa nota di credito. Se invece fosse pattuito il pagamento di una somma a favore del soggetto che ha acconsentito alla risoluzione del contratto, questa costituirebbe il corrispettivo di una prestazione di servizi avente ad oggetto l’accettazione della risoluzione, ergo soggetta ad I.V.A. ex art. 3 del DPR 633/72.
Di segno opposto l’interpretazione in ordine a un accordo che preveda che una parte chieda (e ottenga) la risoluzione del contratto e uno specifico importo a fronte della responsabilità della controparte per inadempimento degli obblighi contrattuali. Nel caso di specie la somma avrebbe natura risarcitoria (ergo fuori campo I.V.A. ex art. 15 del DPR 633/72), posto che si sarebbe in presenza di una risoluzione analoga a quella giudiziale.
Un’ulteriore fattispecie esaminata da Assonime concerne l’accordo transattivo in base al quale il creditore accetta la stipula di un nuovo contratto di fornitura ricevendo dalla controparte un importo a titolo risarcitorio. La transazione assumerebbe carattere novativo, ma ciò non comporterebbe l’automatica rilevanza ai fini I.V.A. della somma dovuta. La circostanza che le nuove pattuizioni siano frutto di un accordo transattivo non implica, infatti, “l’esistenza di prestazioni di servizi ulteriori rispetto a quelle derivanti dal contratto stesso”.
Secondo Assonime, benché l’art. 3 del DPR 633/72 annoveri fra le prestazioni di servizi le “obbligazioni di fare, non fare e di permettere”, resta, tuttavia, necessario che l’operazione si sostanzi in un servizio “consumabile”, circostanza che non potrebbe verificarsi laddove si sia in presenza di un impegno a non proseguire o iniziare una lite, atteso che “tale obbligo si caratterizza quale effetto tipico o naturale dell’accordo di composizione della controversia” (risposta a interpello n. 178/2019). La preclusione dell’azione contenziosa è un semplice effetto dell’accordo, “ma non costituisce il suo oggetto”.
Per concludere, sempre secondo Assonime, non può condividersi l’affermazione dei giudici di legittimità (sentenza Cass. n. 23668/2018) secondo cui comunque l’applicazione dell’I.V.A. non avrebbe effetti sostanziali, potendo essere recuperata dal debitore. Basti pensare, infatti, ai soggetti (banche, assicurazioni, ecc…) che dovendo soggiacere al meccanismo del pro-rata, non potrebbero esercitare in toto il diritto alla detrazione per l’intero importo dell’imposta loro addebitata.
Sarebbe pertanto auspicabile che la questione venisse riconsiderata dall’A.d.E., atteso che l’attribuzione di una rilevanza fiscale – ai fini I.V.A. – agli accordi transattivi extragiudiziali potrebbe rendere antieconomico il ricorso a tale istituto, depotenziando così uno strumento utile alla definizione delle liti.